Prima d’affrontare una mastoplasica additiva, alcune preliminari informazioni e considerazioni sulle protesi mammarie sono indispensabili. I dati non mancano soprattutto perché ad oggi tale intervento è uno dei più eseguiti in chirurgia plastica.
Molte sono le ragioni individuali per cui le donne scelgono la mastoplastica additiva come:
- ripristinare il volume del seno dopo gravidanza e allattamento,
- correggere difetti congeniti o danni dovuti a patologie,
- in sintesi sentirsi meglio nel proprio corpo.
Essere soddisfatti del proprio aspetto, infatti può influire positivamente sull’immagine di sé, sull’autostima e sulla qualità della vita.
A questo punto ed in questa direzione il contributo della chirurgia plastica è significativo.
Tuttavia, come qualsiasi intervento chirurgico, anche quello plastico deve essere valutato attentamente.
Come sono fatte le protesi mammarie?
Gli inizi
Le prime protesi mammarie sono state introdotte nel 1962 e nel corso di quasi 60 anni si sono testati materiali d’ogni tipo prima di arrivare alla loro composizione attuale. Da allora, milioni di donne sono ricorse a protesi in gel di silicone per l’aumento o la ricostruzione post oncologica del seno . Tuttavia negli anni le protesi mammarie sono migliorate costantemente grazie alla collaborazione tra medici, produttori e pazienti.
La loro struttura di base è rimasta più o meno la stessa: un involucro con un materiale di riempimento all’interno.
Fin dagli inizi il materiale più utilizzato per l’involucro è stato l’elastomero di silicone.
La sua scelta è dovuta alle caratteristiche che lo distinguono. Si tratta d’un materiale:
- naturale. La sua base, infatti è il silicio, il secondo elemento più comune sulla terra dopo l’ossigeno;
- privo di additivi e plastificanti;
- soprattutto sicuro per utilizzi in ambiente medico. Si utilizza, difatti dalla metà del XX secolo nei prodotti medicali come ad esempio in sondini, cateteri, cappucci per aghi e pacemaker, guanti e medicazioni per ferite. Anche nella chirurgia dei tessuti molli si ricorre a protesi al silicone per correggere difetti congeniti o danni derivanti da lesioni e invecchiamento;
- particolarmente resistente alle sollecitazioni chimiche e meccaniche. Infatti grazie alla sua composizione a diversi strati è fornito di guscio esterno dalla struttura ben definita, con uno speciale strato barriera che impedisce la migrazione degli oli siliconici. Ciò lo rende di conseguenza materiale dalle elevate prestazioni.
Gli sviluppi
Nel 1968 la Surgitek introdusse un rivestimento in poliuretano che si dimostrò utile per ridurre l’insorgenza della contrattura capsulare e che viene tuttora impiegato nelle protesi prodotte dalla azienda Polytech.
Ma che cos’è un poliuretano?
Dal punto di vista chimico i poliuretani sono polimeri. Essi sono presenti in natura e la cellulosa, le proteine o il nostro DNA ne sono degli esempi. Esistono, però polimeri prodotti artificialmente, che sono definiti “materie plastiche”. Alcuni esempi sono i polietileni, i poliesteri, i polistiroli e i poliuretani, o marchi noti come il nylon o il teflon.
I poliuretani sono grandi molecole a catena collegate tra loro da un legame uretanico relativamente inerte dal punto di vista chimico. Una volta formato, il legame può essere spezzato nuovamente solo con un elevato livello di energia e risulta pertanto stabile, anche in ambiente organico.
Undici anni più tardi, nel 1979, le aziende McGhan e Heyer-Schulte introdussero, invece, le prime protesi con una barriera al fluorosilicone per renderle più resistenti.
Oggi
Nonostante le tante sperimentazioni condotte, il materiale più diffuso per l’involucro delle protesi è rimasto l’elastomero di silicone.
Molti anni di esperienza clinica, numerosi test hanno confermato la sua validità d’impiego e la ricerca intensiva fino ad ora non ha rivelato l’esistenza di reazioni allergiche nei suoi confronti.
Infine anche nella nostra vita quotidiana abbiamo molteplici riprove della versatilità e della sicurezza di questo materiale. Lo incontriamo in un’ampia varietà di forme come agente antischiuma negli alimenti, rivestimento nell’abbigliamento idrorepellente, materiale isolante negli elettrodomestici, antiacido nei gastroprotettori o carrier nei deodoranti.
La superficie dell’involucro può essere liscia oppure testurizzata, ovvero presentare delle irregolarità che la rendono ruvida al tatto. Il materiale interno invece presenta una maggior varietà.
Ecco un filmato che mostra come le protesi mammarie vengono prodotte.
Quali materiali di riempimento sono disponibili?
Per molti anni sono stati utilizzati con successo come materiali di riempimento delle protesi mammarie
gel di silicone e soluzione salina.
- La soluzione salina o fisiologica è un materiale liquido e biocompatibile, che in caso di rottura, quindi è riassorbito dall’organismo senza conseguenze negative.
- Il gel di silicone è, invece un materiale coesivo, ma morbido al tatto, che dà quindi un risultato naturale. In particolare gli impianti riempiti con gel di silicone altamente reticolato rappresentano una sostituzione all’avanguardia dei tessuti molli. Si tratta, inoltre di una sostanza stabile che ritorna alla sua forma originale dopo una moderata compressione. In termini di sensazione e movimento, pertanto un impianto con gel di silicone imita molto bene il seno naturale. In fine il gel resiste a una pressione di 50 kg per cm², in modo da ridurre al minimo il rischio di rottura.
Perché le protesi mammarie possono avere differenti tipi di superficie?
Quando un corpo estraneo viene inserito in un tessuto, una delle reazioni naturali del nostro organismo è costituirvi attorno una capsula per isolare l’elemento potenzialmente pericoloso. Questo succede anche con le protesi mammarie.
In alcuni casi, questa capsula si contrae determinando l’alterazione della forma della protesi e quindi del seno. Inoltre, la contrattura e l’ispessimento della capsula posso causare fastidio e addirittura dolore. Questo fenomeno rappresenta una delle complicanze specifiche dell’intervento di impianto protesico ed è chiamata “contrattura capsulare“.
Si è dimostrato che la sua comparsa è correlata al tipo di superficie della protesi.
Le prime protesi mammarie prodotte avevano una superficie liscia. Successivamente alla fine degli anni ’80 sono stati introdotti gli impianti testurizzati. Un’analisi della casistica ha evidenziato che questi ultimi forniscono un rischio nettamente inferiore (15%) di contrattura capsulare rispetto agli impianti lisci (30%).
Impianti rivestiti in micropoliuretano
Un discorso a parte meritano gli impianti rivestiti in micropoliuretano in uso dalla metà degli anni ’70.
Un ampio studio a lungo termine dimostra che a otto anni dall’intervento il tasso di fibrosi cioè contrattura capsulare di queste protesi è inferiore del 15% rispetto a quello degli impianti testurizzati e del 30% inferiore rispetto a quello degli impianti lisci. Studi recenti mostrano una riduzione del rischio non solo nella mastoplastica additiva primaria, ma anche nei casi di ricostruzione in due fasi ovvero con espansore prima e protesi dopo, persino con radioterapia.
Ciò nonostante nella pratica ospedaliera si ricorre gli impianti rivestiti in micropoliuretano solo in seconda istanza non solo perché molto costose, ma soprattutto più difficili da posizionare, quindi dall’esito meno certo.
Tutte le protesi mammarie hanno la stessa forma?
Sono disponibili protesi con forme differenti, perché ogni donna è unica e ogni corpo è diverso.
Principalmente distinguiamo:
- Protesi anatomiche. Simulano il seno di una donna adulta ed hanno una forma a goccia con la metà superiore più appiattita e la metà inferiore più rotonda;
- Protesi rotonde. Simulano il seno di una donna giovane ed hanno forma semisferica con il polo superiore ed il polo inferiore uguali.
Dov’è posizionato l’impianto?
Nella mastoplastica additiva le protesi possono essere posizionate direttamente dietro il tessuto mammario (sub-ghiandolare sotto la fascia del muscolo sub-fasciale) oppure al di sotto del muscolo Grande pettorale (sub-pettorale / sottomuscolare).
In un intervento di ricostruzione mammaria eseguito a seguito di una mastectomia, l’impianto della protesi avviene necessariamente al di sotto del muscolo Gran pettorale.
Quanto dura una protesi mammaria?
Molte persone credono che le protesi mammarie durino 10 anni e poi debbano essere sostituite.
Ma non è vero!!!!
Se non compaiono problemi o particolari complicanze, non occorre sostituirle.
Tuttavia, siccome la reazione all’inserimento di un corpo estraneo è estremamente personale ed individuale, non è possibile fornire raccomandazioni generalmente valide sul tempo di permanenza degli impianti.
Informazioni e considerazioni sulle protesi mammarie ti hanno chiarito le idee?
Se ti sei chiarita le idee sulle protesi mammarie e non ti sono rimasti dubbi, il primo passo per una scelta consapevole è stato fatto.
Ora se sei ferma nell’intenzione d’affrontare un intervento di mastoplastica, ti conviene raccogliere informazioni anche su rischi, complicanze, risultati raggiungibili e costi. A questo proposito leggi il mio articolo “Problematiche legate agli interventi per l’aumento del seno“.
Contenuti ed immagini sono tratte dal materiale informativo uso medico di Polytech.